Care alunne/alunni,
ecco arrivato il momento del redde rationem!
Lunedì 8 gennaio toccherà alle alunne da Mammola a Porcaro;
Mercoledì 10 gennaio, da Raso a Vicidomini.
Luogo e ora sono gli stessi delle lezioni.
Questo è il Programma da portare alla verifica:
Da parafrasare e commentare secondo le linee svolte a lezione:
Dai Discorsi:
Libro I, proemio; libro I, 2; libro I, 10.
Dal Principe:
Introduzione-dedica: "Nicolaus Maclavellus Magnifico Laurentio Medici salutem";
Capitoli I-XI; XV-XVIII; XXVI (totale: 16 capitoli).
Gli altri capitoli vanno letti per conoscerne il contenuto e le linee principali commentate a lezione.
Bibliografia:
Testo di riferimento: Niccolò Machiavelli, Il Principe, a cura di G. Inglese, Einaudi, Torino 1995 (o edizioni successive); solo il testo; no Introduzione del curatore.
Introduzione di G. Pedullà al Principe, Editrice Donzelli, Roma 2013 (compresa la Cronologia: pp. V-CX).
Tre Articoli di Cappelli (disponibili sul blog).
Tutti i post del blog relativi al corso (da ottobre in poi).
Viva Machiavelli! Buone feste (rimanenti) e...
Blog di Letteratura italiana. Corso di Laurea Magistrale. Università di Napoli "L'Orientale".
27/12/17
17/12/17
11/12/17
La tirannia in lingua cinese, secondo Ma Xiaolu
La parola ‘tiranno’ nella lingua cinese è 暴君, composto da due caratteri: il primo è 暴 (bào) che significa la violenza e la
crudeltà, mentre il secondo è君(jūn), ha il senso di ‘imperatore’ o ‘principe’.
In cinese moderno questa parola ha un senso completamente negativo che indica
un imperatore crudele e brutale che regna in modo dispotico esercitando l’autorità
assoluta.
Inoltre, vale la pena anche di dare uno sguardo all’aspetto etimologico: come
nel mondo letterario occidentale, “il tiranno” apparve nella letteratura cinese
in un periodo antichissimo. Infatti, la fonte più antica si trova in un testo
chiamato Meng Zi’, dal nome di un filosofo (孟子) vissuto nel III secolo a.C., e che ha quasi la stessa importanza di
Confucio nella filosofia dell’antica Cina.
La frase dice: “Chi governa bene, comincia dalla divisione delle terre in
modo giusto, mentre nel caso che un imperatore segna in modo sbagliato i
confini delle terre, questo significa che ha diviso in modo ineguale le terre
per il popolo. Ne deriva certamente l’ineguaglianza dei raccolti come dei
redditi per i funzionari del governo. Quindi un tiranno o un imperatore scellerato
mette sempre un disordine nella divisione delle terre come primo passo della
tirannia.” (《孟子·滕文公上:“夫仁政,必自经界始。经界不正,井底不钧,谷禄不平.是故暴君污吏必慢其经界。”》)
In secondo luogo, la parola “tirannia” in
cinese indica una politica che promulga leggi crudeli e che prende misure estreme
con la finalità di sfuttare e sopprimere in modo brutale il popolo. In un altro
libro dell’antica Cina, Li Ji (che risale circa al II secolo a.C.), troviamo
questa descrizione: un uomo virtuoso indossa la lealtà come armatura e mette la
gentilezza e l’equità come scudo: anche nel caso della tirannia, non cambia i
principi dei propri comportamenti. (《礼记·儒行》:“儒有忠信以为甲胄, 礼义以为干橹;戴仁而行,抱义而处,虽有暴政,不更其所。”)
Nel contesto linguistico cinese odierno, la parola tirannia (暴政) non ha cambiato il senso (né la grafia). Per esempio, in
un articolo intitolato Addio, Potenza, addio Tirannia! descrive una manifestazione avvenuta
lo scorso 18 novembre nella repubblica africana dello Zimbabwe, per ottenere le
dimissioni del novantatreenne presidente Robert Mugabe. (http://www.sohu.com/a/205434036_486479)
Infine, per quanto riguarda il mondo accademico, quando
si riferisce a un regime o un tipo di organizzazione di governo, gli studiosi
cinesi usano questo concetto riferendosi più a quello che nel pensiero politico
occidentale moderno deriva dalla filosofia della Grecia antica. Per esempio molti
studiosi stanno facendo ricerca sulla “tirannia (o dittatura) della
maggioranza” (concetto creato di Alexis de Tocqueville nel saggio intitolato La
democrazia in America, scritto fra il 1832 e il 1840, http://www.lafrusta.net/pro_tocqueville.html) nel
contesto dell’ambiente in internet, ponendosi la domanda su che cosa significa
la democrazia telematica, e come un governo può mantenere un ambiente “sano” in
questo mondo virtuale evitando il fenomeno dell’aggressività di numerosi dei
blogger o internauti (detti in questo caso trolls),
che sono molte volte irragionevoli e immaturi.
Insomma,
oggigiorno quando si usa la parola “tirannia” nel campo politico e storico in
Cina, ci si riferisce al concetto occidentale invece che a quello originale
nella lingua cinese (che indica solo l’azione di
governare in modo crudele e dispotico, ma non un tipo di regime politico),
tranne nel caso di metafore o analogie letterarie utilizzare per attirare l’attenzione mediante l’uso di un concetto nuovo.
30/11/17
Il tiranno biblico
(I Samuele 10-18)10 Samuele riferì tutte le parole del SIGNORE al popolo che gli domandava un re. 11 Disse: «Questo sarà il modo di agire del re che regnerà su di voi. Egli prenderà i vostri figli e li metterà sui carri e fra i suoi cavalieri e dovranno correre davanti al suo carro; 12 ne farà dei capitani di migliaia e dei capitani di cinquantine; li metterà ad arare le sue terre e a mietere i suoi campi, a fabbricare i suoi ordigni di guerra e gli attrezzi dei suoi carri. 13 Prenderà le vostre figlie per farsene delle profumiere, delle cuoche, delle fornaie. 14 Prenderà i vostri campi, le vostre vigne, i vostri migliori uliveti per darli ai suoi servitori. 15 Prenderà la decima delle vostre sementi e delle vostre vigne per darla ai suoi eunuchi e ai suoi servitori. 16 Prenderà i vostri servi, le vostre serve, il fiore della vostra gioventù e i vostri asini per adoperarli nei suoi lavori. 17 Prenderà la decima delle vostre greggi e voi sarete suoi schiavi. 18 Allora griderete a causa del re che vi sarete scelto, ma in quel giorno il SIGNORE non vi risponderà».
29/11/17
Il judo e Machiavelli (o viceversa)
Il Judo, quest'antica e iper-regolamentata arte di lotta giapponese, è una pratica molto machiavelliana. L’arte di invertire i pronostici. Il
debole vince il forte, la forza dell'altro usata per moltiplicare la propria - come si vide nel lontano 1886, quando i giovani judoka di Jigoro Kano, il padre fondatore del Judo, si imposero all’onnipontente scuola di ju-jutsu (la dura arte marziale sino ad allora imperante) del Maestro Hikosuke Totsuka, nel titanico scontro per il titolo di allenatori ufficiali della polizia di Tokio.
Il Judo fa della debolezza, forza, perché non è altro che un insieme di pratiche per imbrigliare un aggressore, ma - più ancora e più in generale - per imparare a valutare, soppesare, sempre, l'esatta dimensione degli altri, la reale consistenza - il fiato il sudore lo sguardo ravvicinato lo sforzo la speranza la disperazione... - di un individuo, dell'individuo.
Il Judo è cedevole, flessibile, adattabile – ju, come il giunco. Ma sa cadere. Per
questo si rialza.
E quando si rialza, sa dove andare, conosce la via per proseguire: –do, la “via”, appunto, il “sentiero”, il percorso: in senso fisico e in senso spirituale, perché, al pari dei migliori di noi, gli orientali sanno che queste dimensioni non si possono e non si devono scindere.
E certo, anche il judo nasce da un fratricidio - come Roma, come le grandi imprese: “Kano scelse per il suo metodo il
nome di Judo, ma per distinguersi da un'altra scuola, Jikishin Ryu, che aveva
usato questo termine, completò il nome in Judo Kodokan” (Storia del judo,
Uisp Nazionale).
«Il Judo non è
soltanto uno sport. Io lo considero un principio di vita, un’arte e una scienza
[...]. Deve essere libero da qualsiasi
influenza esteriore, politica, nazionalista, razziale, economica, od organizzata
per altri interessi. Tutto ciò che lo riguarda non dovrebbe tendere che a un solo scopo: il bene dell’umanità». Proprio come la Politica.
...E no, questo non si porta all'esame. ;)
20/11/17
Cicerone, Machiavelli e l'Occasione
E essaminando le azioni e vita loro, non si vede che quelli avessino altro da la fortuna che la occasione, la quale dette loro materia a potere introdurvi drento quella forma che parse loro: e sanza quella occasione la virtù dello animo loro si sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta invano.
(Il Principe, cap. VI)
Ecco il passo (De officiis I, 142-143):
...E, naturalmente, il Capitolo Dell'Occasione ;)
- Chi se' tu, che non par' donna mortale, |
di tanta grazia el ciel t'adorna e dota? |
Perché non posi? e perché a' piedi hai l'ale? - |
- Io son l'Occasione, a pochi nota; |
e la cagion che sempre mi travagli, |
è perch'io tengo un piè sopra una rota. |
Volar non è ch'al mio correr s'agguagli; |
e però l'ali a' piedi mi mantengo, |
acciò nel corso mio ciascuno abbagli. |
Li sparsi mia capei dinanti io tengo; |
con essi mi ricuopro il petto e 'l volto, |
perch'un non mi conosca quando io vengo. |
Drieto dal capo ogni capel m'è tolto, |
onde invan s'affatica un, se gli avviene |
ch'i' l'abbi trapassato, o s'i' mi volto. - |
- Dimmi: chi è colei che teco viene? - |
- È Penitenzia; e però nota e intendi: |
chi non sa prender me, costei ritiene. |
E tu, mentre parlando il tempo spendi, |
occupato da molti pensier vani, |
già non t'avvedi, lasso! e non comprendi |
com'io ti son fuggita tra le mani. |
15/11/17
Massime dal "Principe".
Tutti gli Stati, tutti i dominii che hanno avuto, e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono o Repubbliche o Principati. I principati sono o ereditari, de' quali il sangue del loro Signore ne sia stato lungo tempo Principe, o e' sono nuovi. I nuovi o sono nuovi tutti, come fu Milano a Francesco Sforza, o sono come membri aggiunti allo stato ereditario del Principe che gli acquista, come è il Regno di Napoli al Re di Spagna. Sono questi dominii, così acquistati, o consueti a vivere sotto un Principe, o usi ad esser liberi; ed acquistansi o con le armi di altri o con le proprie, o per fortuna o per virtù.
(Il Principe, incipit).
La natura de' populi è varia; ed è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermarli in quella persuasione.
(cap. VI)
Perché in ogni città si trovano questi duoi umori diversi, e nascono da questo, che il popolo desidera non esser comandato nè oppresso da' grandi, e i grandi desiderano comandare e opprimere il popolo; e da questi duoi appetiti diversi surge nelle città uno de' tre effetti, o Principato, o Libertà, o Licenza. (cap. IX)
Quello del popolo è più onesto fine che quel de' grandi, volendo questi opprimere, e quello non essere oppresso (cap. IX).
E molti si sono imaginati republiche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero; perché egli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare impara piuttosto la ruina che la perservazione sua: perché uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni. Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, e usarlo e non l’usare secondo la necessità. (cap. XV)
Deve nondimeno il Principe farsi temere in modo, che, se non acquista l'amore, e' fugga l'odio, perché può molto bene stare insieme esser temuto, e non odiato; il che farà, semprechè s'astenga dalla roba de' suoi cittadini, e de' suoi sudditi, e dalle donne loro. (cap. XVII)
Nelle azioni di tutti gli uomini, e massime de' Principi, dove non è giudizio a chi reclamare, si guarda al fine. Facci adunque un Principe conto di vivere e mantenere lo Stato; i mezzi saranno sempre giudicati onorevoli, e da ciascuno lodati (cap. XVIII)
Gli uomini in universale giudicano più agli occhi che alle mani, perché tocca a vedere a ciascuno, a sentire a pochi. Ognun vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei (cap. XVIII)
Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, giudico potere esser vero, che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che ancora ella ne lasci governare l'altra metà, o poco meno, a noi. Ed assomiglio quella ad fiume rovinoso, che quando ei si adira, allaga i piani, rovina gli arbori e gli edifici, lieva da questa parte terreno, ponendolo a quell'altra; ciascuno gli fugge davanti, ognuno cede al suo furore, senza potervi ostare; e benché sia così fatto, non resta però che gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi possino fare provvedimenti e con ripari, e con argini, immodoché crescendo poi, o egli andrebbe per un canale, o l'impeto suo non sarebbe sì licenzioso, né sì dannoso. Similmente interviene della fortuna, la quale dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resistere, e quivi volta i suoi impeti, dove la sa che non sono fatti gli argini, né i ripari a tenerla. (cap. XXV)
31/10/17
La magnanimità, concetto antico
In Cicerone, la magnanimitas, insieme alla fortitudo (fortezza) viene definita con l’espressione «animi excelsi atque invicti magnitudo ac vis» ("grandezza e forza di un animo eccelso e invitto"; cfr. De officiis I, 15).
La magnanimitas teorizzata da Aristotele (Etica Nicomachea, 1123a-1125b) si defiisce come «una specie di ornamento delle
virtù: essa infatti le rende più grandi e non può sorgere senza di esse»
(1124a). Aristotele insiste anche sulla moderazione e l’autocontrollo del magnanimus, e con questa serie di tratti il concetto passa all'epoca umanistica e al Rinascimento, che ne intravede le potenzialità per la caratterizzazione dell'"uomo forte", il princeps o il "principe civile" machiavelliano.
Essa finisce per riunire in sé tutte le virtù politiche: come scrive ai primi del Cinquecento l'umanista e politico Giovanni Pontano, «Non si tratta di essere solo benefico... né solo cultore della giustizia, la temperanza e la continenza, ma anche della fortezza, perché anche se i pericoli e le situazioni di pericolo in cui si mette in gioco la vita sono la materia stessa della fortezza e quasi il suo campo d'azione, tuttavia anche la magnanimità si esercita in queste cose e cerca in esse onore e gloria» (De magnanimitate, XXXIII, 2).
11/10/17
Vi fu un tempo....
Cicerone, De inventione, I, 2
Nam fuit quoddam tempus, cum in agris homines passim bestiarum modo vagabantur et sibi victu fero vitam propagabant nec ratione animi quicquam, sed pleraque viribus corporis administrabant, nondum divinae religionis, non humani officii ratio colebatur, nemo nuptias viderat legitimas, non certos quisquam aspexerat liberos, non, ius aequabile quid utilitatis haberet acceperat. Ita propter errorem atque inscientiam caeca ac temeraria dominatrix animi cupiditas ad se explendam viribus corporis abutebatur, perniciosissimis satellitibus. Quo tempore quidam magnus videlicet vir et sapiens cognovit quae materia esset et quanta ad maximas res opportunitas in animis inesset hominum, si quis eam posset elicere et praecipiendo meliorem reddere; qui dispersos homines in agros et in tectis silvestribus abditos ratione quadam conpulit unum in locum et congregavit et eos in unam quamque rem inducens utilem atque honestam primo propter insolentiam reclamantes, deinde propter rationem atque orationem studiosius audientes ex feris et immanibus mites reddidit et mansuetos.
Ci fu un tempo in cui gli uomini vagavano qua e là nei campi come bestie e si procuravano da vivere col cibo selvatico, non facevano le cose con razionalità, ma si basavano per lo più sulla forza fisica; non si praticava ancora il culto religioso né si seguiva un criterio nella suddivisione dei ruoli umani; nessuno aveva mai visto matrimoni regolati dalle leggi né il concetto di figli legittimi, né aveva compreso quali vantaggi portasse l’uguaglianza giuridica. E così per errore ed ignoranza la passione, dominatrice cieca e incontrollata dell’animo, per soddisfare i propri bisogni si avvaleva in modo irrazionale della forza fisica, compagna rovinosissima. In quel tempo, qualcuno, evidentemente grande e saggio, si rese conto di quale potenziale innato e di quanta attitudine a cose straordinarie fosse insita nella mente degli esseri umani, se solo si fosse potuto tirarla fuori e migliorarla con l’educazione; costui grazie alla ragione fece sì che la gente disseminata nei campi e riparata in dimore di fortuna in mezzo ai boschi si raccogliesse in uno stesso luogo e vi si riunisse per una vita associata e, portandoli a capire il concetto di utilità e di dignità, mentre in un primo tempo recalcitravano perché non vi erano abituati, poi prestavano ascolto con sempre maggior interesse per la componente della razionalità e della parola di cui erano dotati, li fece diventare da esseri bestiali e disumani a creature civili.
08/10/17
07/10/17
MACHIAVELLI E IL PRINCIPE
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando i nostri nonni (e bisnonni e trisavoli...) dipingevano il Segretario fiorentino come l'Anticristo!
Gli studi si sono evoluti, e le cose, come sempre, si sono complicate...
01/05/17
LA FILOLOGIA
L’arte di
separare nelle parole l’auro dal ferro et trovare la verità occulta o corrupta
dal tempo e dalli omini: la Filologia,
che è spada tagliente della maschera della hypochrisia cum la quale il potere
occulta il suo verace vulto bestiale e violento.
(ps. Giordano Bruno)
23/03/17
La Pietà
...Agli albori della civiltà...
Omero.
Odissea, XXII, 514ss.
Quella (Euríclea), come i cadaveri ed il molto
Sangue mirò, volle gridar di gioia
A spettacolo tal: ma ei (= 'lui', Ulisse) frenolla,
Benchè anelante, e con parole alate,
Godi dentro di te, disse, ma in voci,
Sangue mirò, volle gridar di gioia
A spettacolo tal: ma ei (= 'lui', Ulisse) frenolla,
Benchè anelante, e con parole alate,
Godi dentro di te, disse, ma in voci,
Vecchia, non dar di giubbilo (= 'non ti rallerare apertamente'): chè vampo
Menar (= 'accanirsi') non lice sovra gente uccisa.
Menar (= 'accanirsi') non lice sovra gente uccisa.
...nella modernità cristiana...
03/01/17
AVVISO 1 – Solo per frequentanti – Relazioni sul Seminario
Cari e care,
le relazioni che avete scritto in occasione del
Seminario internazionale su Malebolge dello scorso 5 dicembre – per le quali vi
ringrazio e mi complimento – hanno valore come parte dell’esame, e come tali
verrano discusse individualmente (e brevemente) durante l’esame orale. Nella valutazione
complessiva questo sarà il criterio: la relazione non può abbassare il voto. Questo può, secondo il valore della relazione
stessa, restare invariato o aumentare di poco, concorrendo a formare il voto
finale
Chi ha chiesto il credito formativo, può
ritirare il certificato dal dott. Borrelli prima o dopo la lezione di lunedì 9
gennaio.
AVVISO2 – Solo per frequentanti. Data di preappello; Canti e letture.
Il pre-esame, con la verifica della lettura dei canti, si terrà lunedì 16 gennaio alle 10.00; vi indicherò il luogo tra breve.
Ecco l’elenco dei canti che sarannno oggetto d’esame
per chi ha frequentato il corso:
Canto XI, vv. 10-90
Canto XVI, vv. 91-136
Canto XVII
Canto XVIII
Canto XIX
Canto XX, vv. 1-30
Canto XXI
Canto XXII, vv. 1-45
Canto XXIII
Canto XXIV
Canto XXV, vv. 1-15
Canto XXVI
Canto XXVIII, vv. 22-60
Canto XXX, vv. 46-148.
Canto XXX, vv. 46-148.
La Bibliografia da studiare, come sapete, è
quella indicata nel Programma, tranne il testo di Nohrnberg, ma con l’aggiunta
dei testi che abbiamo indicato e commentato in classe (Picone, Rebuffat
ecc.)... e, naturalmente, di questo blog!
Buon anno nuovo, cari saluti e... in bocca al
lupo!
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