La maledizione di Ipsipile

Ovidio, Heroides VI
Ipsipile a Giàsone
Mi si dice che di ritorno con la tua nave tu sia approdato alle coste della Tessaglia col prezioso carico del vello dell'ariete dorato. Mi compiaccio, per quanto mi consenti, che tu sia sano e salvo; tuttavia avrei dovuto essere informata di questo da una tua lettera. Per non essere tornato, ammesso che tu lo desiderassi, oltrepassando il mio regno a te promesso, puoi non aver avuto i venti favorevoli; ma per quanto il vento sia contrario, una lettera si può scrivere: io, Ipsipile, meritavo che mi si inviasse un saluto! Perché, prima di una tua lettera, è giunta la fama ad annunciarmi che i tori sacri a Marte erano stati sottomessi al giogo ricurvo; che, dalla semente gettata, era cresciuta una messe di guerrieri e per la loro uccisione non ci fu bisogno della tua mano; che un drago insonne sorvegliava la pelle dell'ariete e tuttavia il vello d'oro era stato sottratto dalla tua impavida mano? Se io potessi dire a quelli che stentano a credere: "Queste cose me le ha scritte lui in persona", come mi sentirei importante! Perché lamentarmi che un marito indolente abbia trascurato il suo dovere? Ricevo un grande favore, se resto tua. Si racconta che sia arrivata con te una maga straniera, accolta a dividere la parte del letto nuziale che spetta a me. L'amore crede a tutto: vorrei essere definita sconsiderata per aver calunniato mio marito con vane accuse! È giunto da poco dalle rive Emonie, come mio ospite, un tessalo e non aveva ancora toccato la soglia che gli chiesi: "Cosa fa il figlio di Esone, mio sposo?". Egli, per la vergogna, rimase con lo sguardo a terra, fisso davanti a sé. Subito ebbi un soprassalto e, strappandomi la tunica dal petto, gridai "È vivo, o la morte chiama anche me?" "È vivo", risponde esitante; poiché esitava, lo costrinsi a giurare; a mala pena, benché venisse chiamato a testimone un dio, credetti che eri vivo. Appena ripresi coraggio, cominciai a chiedere notizie delle tue imprese. [...] Mentre racconta le singole imprese, trascinato dal fervore del discorso, porta allo scoperto, con la sua stessa esuberanza, le mie ferite. Ahimè, dov'è la fedeltà promessa? Dove i patti nuziali e la fiaccola, più degna di attizzare un rogo funebre? Io non mi sono unita a te in adulterio. Era presente Giunone protettrice dei matrimoni e Imeneo con le tempie inghirlandate. Ma non fu Giunone, né Imeneo, bensì la lugubre Erinni grondante sangue a portare le fiaccole funeste [...] In città vidi quell'uomo, lo accolsi in casa e nel mio cuore. Qui hai trascorso due estati e due inverni. Era la terza estate, quando tu, costretto ad alzare le vele, pronunciasti fra le lacrime queste parole: "Sono strappato via a forza, Ipsipile; ma mi conceda solo il destino di tornare; parto di qui come tuo sposo, tuo sposo sarò sempre per te. E la creatura che, generata da noi, è nascosta nel tuo ventre gravido, possa vivere e siamo noi, entrambi, i suoi genitori". Questo fu tutto: e mi ricordo che non fosti in grado di aggiungere altro, per le lacrime che scorrevano sul tuo volto bugiardo. Ultimo dei tuoi compagni sali sulla sacra Argo; la nave vola, il vento gonfia le vele incurvandole. L'onda cerulea si ritrae sotto la spinta dello scafo; tu guardi verso terra, io non stacco gli occhi dall'acqua. Una torre, aperta da ogni lato, guarda tutt'attorno sul mare; salgo lassù e il volto e il petto sono bagnati di pianto. Resto a guardare attraverso le lacrime ed i miei occhi vedono più lontano del consueto, secondando i desideri del cuore [...]
Veramente non mi sentii mai sicura e temevo sempre che tuo padre scegliesse una nuora da una città argolica. Temevo le donne argive, e la mia rovina è una concubina straniera! Sono stata ferita da una nemica imprevista. E non ti piace né per aspetto, né per meriti, ma conosce gli incantesimi e con la sua falce stregata miete erbe venefiche [...] O volubile figlio di Esone, più incostante della brezza primaverile, perché le tue parole non hanno il peso di una promessa? Te ne sei andato di qui come mio marito, ma sei tornato di là non più mio: possa io essere tua sposa ora che sei tornato, come lo ero quando partisti. Se sei sensibile alla nobiltà e ai nomi prestigiosi, guarda che si sa che sono figlia di Toante, della stirpe di Minosse; Bacco è mio avo; la sposa di Bacco, cinta della corona, offusca con le sue stelle gli astri minori. Avrai in dote Lemno, terra fertile per chi la coltiva: puoi considerare anche me fra le donne provviste di dote. Ora ho anche partorito: fai le tue felicitazioni ad entrambi, Giasone - il responsabile della gravidanza me ne aveva reso dolce il peso. Sono stata anche fortunata nel numero e, col favore di Lucina, ho partorito due gemelli, doppio pegno d'amore. Se vuoi sapere a chi assomigliano, ti riconoscerai in loro: non sanno ingannare, tutto il resto lo hanno preso dal padre. Stavo quasi per farteli portare come ambasciatori per la madre, ma il pensiero di quella crudele matrigna mi ha fatta desistere all'inizio del viaggio. Ho temuto Medea - Medea è più di una matrigna - le mani di Medea sono capaci di ogni tipo di delitto. Lei, che ha avuto il coraggio di disperdere per i campi il corpo fatto a pezzi del fratello, proprio lei avrebbe risparmiato i miei figli? Tuttavia si dice che l'hai preferita al letto di Ipsipile, pazzo, ottenebrato dai veleni della Colchide! Lei, la vergine adultera ti ha conosciuto come marito in maniera vergognosa, mentre una casta fiaccola nuziale ha unito te a me e me a te. Lei ha tradito il padre, io ho strappato Toante alla strage; lei ha abbandonato la Colchide, io sono rimasta nella mia Lemno. Ma cosa importa se poi una donna scellerata ha il sopravvento su di una virtuosa? Lei si è fatta una dote della sua stessa colpa e si è conquistata un marito. Io condanno il crimine delle donne di Lemno, Giasone, non lo ammiro! Dovunque è il dolore stesso ad armare i deboli. Su, dimmi, se spinto da venti sfavorevoli, come sarebbe stato giusto, avessi fatto ingresso nel mio porto, tu e la tua compagna, ed io ti fossi venuta incontro accompagnata dai gemelli - certo avresti dovuto chiedere alla terra di spalancarsi! - con quale faccia, disgraziato, avresti guardato i tuoi figli, con quale me? Di quale morte saresti stato degno, come prezzo del tuo tradimento? Ma, per quanto mi riguarda tu saresti stato salvo e al sicuro, non perché tu ne sia degno, ma perché io sono clemente; ma io in persona avrei saziato del sangue della tua concubina i miei occhi e i tuoi, che lei mi ha portato via con le sue stregonerie. Con Medea sarei stata Medea! Se, dall'alto, Giove stesso, dio di giustizia, accoglie in qualche modo le mie preghiere, anche l'usurpatrice del mio letto provi a sua volta le sofferenze per cui Ipsipile piange e sia colpita dalle sue stesse leggi. E come io, sposa e madre di due figli, sono abbandonata, anche lei, avuti i figli, sia privata del marito; e ciò che avrà partorito malamente non possa conservarlo a lungo, e ancor peggio lo perda; sia esule e cerchi rifugio per tutto il mondo! E quanto, come sorella, fu crudele con il fratello e, come figlia, con il povero padre, altrettanto lo sia con i figli e altrettanto con il marito. E dopo aver esaurito terra e mare, cerchi la via del cielo; vada errando povera e disperata, macchiata del sangue della sua strage. Queste le punizioni che io, figlia di Toante, defraudata delle mie nozze, invoco. Vivete, moglie e marito, in un talamo maledetto!
(trad. a cura del blog http://www.miti3000.it/mito/index.htm)

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