25/03/20

Letteratura italiana contemporanea - "Figurale" e "creaturale"

A proposito della rivoluzione romantica dei generi (per la verità propiziata già dal rimescolamento delle classi sociali nella Rivoluzione francese, che "libera" la rappresentazione artistica da una rigida suddivisione sociale >> tragedia = eroe, aristocratico; commedia = "villano", di bassa condizione; vedi anche "Ruota di Virgilio").
Alcune osservazioni sul realismo creaturale sulla scia del grande filologo romanzo Erich Auerbach, "inventore" di questo concetto letterario e culturale. 

Il passo seguente è tratto da un saggio-conversazione di due importanti filologi, Lorenzo Renzi e Donatella Pini, che tratta dei caratteri costitutivi del romanzo partendo dal Don Quijote di Cervantes. Volendo, potete approfondire qui.

"La separazione classica degli stili viene abbattuta la prima volta dal Cristianesimo, che lo fa più o meno implicitamente in conseguenza della concezione figurale. Ma c’è una seconda volta, e questa volta è il Romanticismo, che scuote tutto l’edificio della retorica riflettendo nella letteratura il rimescolamento delle classi sociali (comprese nella teoria degli stili, lo ricordiamo) così come avveniva per la prima volta nella storia alla fine del secolo XVIII con la Rivoluzione francese. Sono questi i due momenti, molto diversi tra di loro, in cui culmina la rappresentazione piena (non limitata da barriere sociali) della realtà, le due fasi di culminazione del realismo: realismo cristiano, figurale e creaturale, il primo, realismo laico e sociale il secondo. Sono - come dice Auerbach - le due “brecce” aperte nella teoria dei livelli stilistici” (Mimesis, 1964, II: 340, “Conclusione”)".

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Erich Auerbach

11/03/20

Profilo di Machiavelli


Niccolò Machiavelli (1469-1527)
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Nasce a Firenze (San Casciano in Val di Pesa) da una famiglia di nobili origini (i Machiavelli erano stati signori di Montespertoli trasferitisi a Firenze, sottomettendosi alla sua legge e dividendone le glorie), famiglia guelfa che dette alla città ben tredici Gonfalonieri di giustizia e una cinquantina di Priori; la stirpe della madre originaria di Fucecchio era altresí di antica nobiltà e la famiglia dette a Firenze un Gonfaloniere e cinque priori. 

Interessato alla politica già nella giovinezza, approfittò della costituzione della Repubblica di Firenze per cercare di partecipare alla vita politica della sua città. Nel 1498, dopo la cacciata dei Medici da Firenze e la fine dell’avventura politica e religiosa del frate Girolamo Savonarola, Machiavelli fu eletto Segretario della Seconda cancelleria della Repubblica fiorentina, assumendo importanti funzioni, tra cui quella di viaggiare all’estero per informare la città sui principali provvedimenti presi dai più importanti governi europei. Il contatto diretto con le varie forme di governo, assieme alla sua passione per i classici antichi e per la “teoria politica” in generale, contribuirono alla formazione del suo pensiero.
Nel 1513, con il ritorno dei Medici a Firenze in seguito ad accordi presi con il re di Spagna, Machiavelli, troppo compromesso con il governo precedente, venne incarcerato, torturato e infine confinato nella sua villa in un paesino vicino a Firenze, Sant’Andrea in Percussina. Qui, tra le giornate rese lunghe dall’ozio forzato, comincia a scrivere il suo libro più famoso, Il Principe.
Nel 1516 inizia a frequentare le riunioni nei giardini del Palazzo Rucellai (gli Orti Oricellari) dove discuteva di argomenti letterari, filosofici e politici. In questi anni compone opere come La Mandragola e la novella Belfagor arcidiavolo. Nel frattempo il rapporto di Machiavelli con i Medici si rasserena, almeno in parte: il cardinale Giulio de’ Medici, futuro papa Clemente VII, gli commissiona la stesura delle Istorie fiorentine.
Nel 1521 conosce personalmente a Carpi Francesco Guicciardini con cui stringe un’amicizia testimoniata da molte lettere. Dopo pochi anni torna a ricoprire alcuni incarichi per i Medici, anche se di poca importanza. Quando, il 6 maggio 1527, avviene il sacco di Roma e la caduta del regime mediceo, Machiavelli decide di tornare a Firenze. Muore improvvisamente il 21 giugno 1527.

Il Principe. Un’indagine sistematica su una forma di governo e sui meccanismi del suo funzionamento. La lettera a Francesco Vettori (10 dicembre 1513) > Titolo: De principatibus.
Problema della datazione. Principali ipotesi: 1513, seconda metà: ipotesi tradizionale (Chabod); 1513-14 (Sasso); 1513, con aggiunte e modificazioni di entità significativa fino all’inverno ‘18-’19, quando comincia a circolare in una cerchia ristretta (Martelli): ciò sarebbe provato dall’Ehortatio finale (capitolo XXVI), possibile solo dopo la conquista medicea del Ducato di Urbino, quando si prospettava per Firenze un assetto monarchico (1518). In seguito, M. non si sarebbe preoccupato del labor limae, lasciando piccole incongruenze, che ne fanno un «libro in divenire», secondo un modo comune di lavorare del M. (Marchand).
Quest’ultima visione, ripresa anche dal Bausi, probabilmente pecca di esagerazione: Il Principe è un libro dove solo l’eccessivo rigore dei filologi trova incongruenze, a loro dire significative; e invece, si tratta di un testo ben calcolato e fortemente coeso.

Partizione della materia:
Capitoli I-XI: tipologia del principato; strategie da seguire per garantirsi un governo sicuro in situazioni differenti. Il suo interesse, menzionati rapidamente i principati ereditari, si centra su quelli «nuovi» (oggetto “ideale” di analisi razionale). III-IV > province annesse a uno Stato già formato.
VI-IX > principati interamente nuovi («nuovi tutti») costituiti da personaggi eccezionali. VI: Coloro che pervengono al principato con le armi proprie (Teseo, Ciro, Romolo) > virtù fortuna e occasione; uso della forza: i «profeti armati» sono quelli che vincono; i “profeti disarmati” sono destinati alla sconfitta (come Girolamo Savonarola). VII: coloro che giungono al potere grazie alla fortuna: il Valentino, che alla fortuna aggiunge la virtus. La politica ha leggi che possono garantire il successo se osservate; ma in caso contrario porta alla rovina. VIII: coloro che hanno acquistato il principato attraverso scelleratezze (violenza estrema): ess.: Agatocle, Liverotto da Fermo > li condanna, non in assoluto ma perché non hanno saputo usare la forza con misura e senso dell’opportunità. IX: quanti pervengono al principato con l’aiuto dei cittadini: la politica di alleanze (“principato civile”).
X-XI > lotta contro il nemico esterno; principato ecclesiastico (molto particolare perché di fondazione “divina” e non umana).  

Capitoli XII-XXIV. Vita interna dello Stato e caratteristicche personal6i del principe.   XII-XIV: problema della milizia.
XV > passaggio alle qualità personali del princeps (attacco ai trattatisti precedenti) > la questione del realismo machiavelliano.
XVI-XIX > liberalitas/parsimonia; amor/timor: se nella gestione dello Stato sia più efficace                  suscitare amore o incutere timore (XVII); “audacia del leone, astuzia della volpe” (XVIII);                   risoluto e deciso (contro il “temporeggiare” fiorentino) (XIX).
XX-XXIII > situazioni specifiche: le fortezze, la stima dei sudditi, i consiglieri (“ministri”), gli               adulatori.
XXIV > cause per cui i governanti d’Italia hanno perduto i loro Stati.

Capitoli XXV-XXVI. XXV: la Fortuna, nemica della virtus: volontarismo, audacia impetuosa («la Fortuna è donna», celebre metafora). XXVI: Exhortatio a liberare l’Italia.

Un’altra partizione (M. Martelli): I-XIV: tipi di principato, problemi delle milizie, compiti militari del principe; XV-XXVI: comportamento del principe > in tal modo si spiegano le due forme del titolo: De principatibus (in latino, nella lettera a Vettori: per la prima parte); Il Principe, titolo vulgato (per la seconda parte).

Costanti ideologiche: la Natura umana è “aperta” (varia, contraddittoria) e immutabile nel corso del tempo; la realtà oggettiva dotata di leggi proprie, da conoscere. «Verità effettuale»: ‘effettiva’, ‘che produce effetti’ (contrapposta all’ideale, all’utopistico). La virtù indipendente dalla morale. Caratteri del buon principe.
Problema del presunto “repubblicanesimo” di M. > il suo pensiero si sviluppa nel tempo ed è vario: per lui conta l’efficacia più delle forme di governo. In linea di principio, sarebbe “repubblicano” (forma che lui chiama “vivere libero” della comunità = “senza un re”); ma nei fatti comprende che le circostanze possono richiedere un principe, un governo assoluto più solido e meno conflittuale. Comunque non è mai repubblicano “puro”: durante gli anni di impegno politico (fino al 1513) è piuttosto su posizioni oligarchiche, si schiera con il Gonfaloniere Pier Soderini; poi, dopo la “riabilitazione” è con i Medici. Il principe civile mediceo, soluzione in funzione dell’unificazione d’Italia. M. abbandona definitivamente le speranze repubblicane tra la caduta di Soderini (1512) e la morte di Lorenzo il giovane.

I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Un libro incompiuto, come prova la frequenza degli errori e delle imperfezioni: su 58 citazioni da Livio, solo 9 sono corrette (Ridley) > la cultura di M. non è propriamente umanistica: non scrive in latino, non è filologo. La sua è una cultura varia, ricca, ma disordinata: classici antichi, ma anche testi della tradizione volgare fiorentina, e testi giuridici.
Una prima bozza dei Discorsi si intitolava il Libro delle repubbliche, come annuncia nel Principe. Una genesi dunque che va dagli anni soderiniani (1506-12, prob. 1510-‘11), alla stesura della forma attuale del libro, anni ’17-’18.
Struttura: in tre libri come un commento ai primi dieci libri dell’Ab Urbe condita di Tito Livio, divisi secondo il criterio di analizzare prima i fatti accaduti a Roma per consiglio pubblico, poi ciò che i Romani fecero all’esterno, infine le azioni di quegli uomini che, per le loro doti particolari, contribuirono alla grandezza romana.
La finalità non è un semplice omaggio all’antichità, ma una sua rilettura in funzione delle esigenze pratiche del suo tempo. Riflettendo sulla crisi della Repubblica romana, M. affronta il tema della diversità delle forme di governo, che facilmente possono scivolare nella degenerazione: il principe buono può diventare tiranno, che può essere sconfitto dagli Ottimati (aristocratici), che a loro volta possono divenire oligarchi, abbattuti da una repubblica popolare che però tende alla licenziosità.
L’analisi di M. giunge alla conclusione di considerare il conflitto come motore dell’azione politica: lo scontro tra patrizi e plebei in Roma fu un bene (Discorsi, I, 4), in grado di far crescere la comunità politicamente e militarmente attraverso la continua competizione e il continuo equilibrio di poteri.
Emerge in maniera evidente la riflessione sulla repubblica e sulla libertà politica. Il suo “repubblicanesimo” è in primo luogo adesione ai principi del «vivere politico civile», cioè all’ideale di una repubblica fondata sul governo della legge e del bene comune. Ma anche qui non si tratta di repubblicanesimo “assoluto”, bensì di affrontare il problema del potere e dello Stato da un’altra angolatura, ricollegandosi alla grande tradizione fiorentina quattrocentesca, da Coluccio Salutati a Leonardo Bruni (che polemizza contro Milano), a Poggio Bracciolini che difende Scipione contro Guarino che esalta Cesare (avversato da Machiavelli), a Giovanni Cavalcanti o Matteo Palmieri. Di fatto, in generale l’opposizione è (I, 25) tra il «vivere politico» e la tirannide intesa come potere al di sopra delle leggi e alla corruzione intesa come degenerazione del vivere civile. D’altra parte, le posizioni repubblicane vi convivono con esaltazioni dell’oligarchia veneziana e addirittura con spunti monarchici.
Da non trascurare il pregio stilistico: il “nitore della prosa”, la verve novellistica (Martelli).

L’arte della guerra (1521, unico testo a stampa in vita di M.) sottolinea nei suoi 7 libri come la capacità militare costituisca un valore fondamentale per dare stabilità a un governo. Pertanto un buon reggitore di uno Stato non può in alcun modo ignorarla, se vuole evitare i grandi spaventi (1. VIII) cui erano stati condannati «i nostri principi italiani» quando avevano ritenuto che «bastasse sapere negli scrittoi pensare una acuta risposta a una bella lettera». Facendo tesoro dell’esperienza dei Romani, è necessario fare uso di una milizia propria, che abbiano virtù civili alla capacità militare, evitando il ricorso a soldati di professione, che nella difesa di una patria non possono possedere quello slancio ideale proprio di chi vi appartiene.

Le Istorie fiorentine, furono presentate al papa Giulio II nel 1526. In otto libri, dopo un'introduzione generale sulla storia d'Italia e d'Europa (libro I), tratta la storia di Firenze dal 1215 (origine della lotta tra Guelfi e Ghibellini) alla morte di Lorenzo il Magnifico (1492) Machiavelli attribuisce proprio al papato le responsabilità di quella disunione che aveva portato alla decadenza italiana, e in particolare quella di Firenze, dilaniata da contese di carattere privato dovute alla litigiosità e alla visione limitata della classe dirigente

LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA - MANZONI

L'edizione di riferimento de  I promessi sposi è quella  a cura di F. De Cristofaro (Milano, BUR, 2014), di uso obbligatorio per ch frequenta il corso.

Per seguire le letture ci si può basare, per il momento, sull'edizione reperibile a questo link: 
http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t337.pdf

10/03/20

Antichità repubblica e tirannide nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio

Qui trovate i testi tratti dai Discorsi di Machiavelli, che trattano:

1) Proemio: rapporto dei moderni con gli Antichi (soprattutto i greci e i romani);

2) libro I, cap. 2: i diversi sistemi di governo, secondo la teoria di Polibio dell'anaciclosi (trovate un link in proposito qui nel blog);

3) libro I, cap. X: la fondazione degli Stati ("repubbliche") e il concetto di tirannide.
Presto caricherò dei video esplicativi.

02/06/19

Letteratura italiana contemporanea. AVVISO IMPORTANTE


Care studentesse, cari studenti,

Ecco il programma del nostro preappello del prossimo 6 giugno:

Lettura integrale dei romanzi:
U. Foscolo, Ultime letere di Jacopo Ortis.
A. Manzoni, I promessi Sposi.
L. Pirandello, Uno, nessuo e centomila.

Letture commentate:
- Antologia di testi di Foscolo e Manzoni.
- Ultimo capitolo (e in particolare scena finale) di G. Verga, I Malavoglia.
- Ultimo capitolo di Pirandello, Uno, nessuno e centomila.
- Materiali di storia della letteratura distribuiti in fotocopia.
- Materiali caricati sul blog.

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19/05/19

Letteratura italiana contemporanea... ma non solo

Questo testo del maestro Rico, sulla peculiare natura "classicista" della tradizione letteraria italiana, e sul suo rapporto con il romanzo moderno, è utile a chiunque abbia... voglia di capire.

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