"In hac fece temporum"

Leonardo Bruni (1374-1444) critica le scienze del suo tempo.


Leonardo Bruni, Dialogi ad Petrum Paulum Histrum / Dialoghi. A Pier Paolo Vergerio da Capodistria (trad. Garin, Prosatori latini del Quattrocento, pp. 93, 95, 99)

Nel passato la filosofia fu portata dalla Grecia in Italia ad opera di Cicerone, ed irrigata da quell’aureo fiume di eloquenza: nei suoi libri non solo c’erano esposti i principi ispiratori di tutta la filosofia, ma c’erano anche diligentemente presentate le diverse scuole filosofiche. Cosa, questa, che a mio parere, contribuiva moltissimo a diffondere gli studi [...] Oh, se restassero ancora quei libri e non ci fosse stata la grande incuria dei nostri antenati. Essi ci hanno conservato Cassiodoro e Alcido ed altri simili sogni che neppure una persona di scarsa cultura si è mai curata di leggere; mentre hanno trascurato e lasciato perire i libri di Cicerone, dei quali niente di più bello, niente di più gradito hanno mai prodotto le Muse della lingua latina.
[...]

Che dire ora della dialettica, che è l’arte assolutamente necessaria per le dispute? Forse che detiene un florido regno, e in questa guerra dell’ignoranza non ha subito nessun danno? Anzi: quella barbarie, che abita al di là dell’Oceano, si è scagliata contro di lei. E che genti, o buoni Dei! Tremo anche di fronte ai loro nomi: Farabrich, Buser, Occam e altri simili, che mi sembrano aver preso tutti il nome dalle schiere di Radamante. E che cosa c’è, o Coluccio, per smetterla con lo scherzo, che cosa c’è, dico, nella dialettica che non sia stato sconvolto dai sofismi britannici? Che cosa che non sia stato separato da quell’antica e vera arte del disputare e trasferito in inezie e leggerezze? Lo stesso potrei dire della grammatica, lo stesso della retorica, lo stesso di quasi tutte le altre arti.

[...]

Ora, per Ercole, io non dico questo per offendere Aristotele; e non sono in guerra con quel sapientissimo uomo, ma con la follia di costoro. Se fossero rei soltanto della colpa dell’ignoranza, essi non sarebbero certamente meritevoli di lode, sibbene, dati i tempi, di sopportazione; ma ora, dal momento che alla loro ignoranza è congiunta tanta arroganza da arrivare a chiamarsi e giudicarsi sapienti, chi potrebbe sopportarli di buon animo? Su costoro, o Coluccio, ecco la mia opinione: non credo che neppure riguardo alla più piccola questione conoscano bene il pensiero di Aristotele.


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