E essaminando le azioni e vita loro, non si vede che quelli avessino altro da la fortuna che la occasione, la quale dette loro materia a potere introdurvi drento quella forma che parse loro: e sanza quella occasione la virtù dello animo loro si sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta invano.
(Il Principe, cap. VI)
Ecco il passo (De officiis I, 142-143):
...E, naturalmente, il Capitolo Dell'Occasione ;)
- Chi se' tu, che non par' donna mortale, |
di tanta grazia el ciel t'adorna e dota? |
Perché non posi? e perché a' piedi hai l'ale? - |
- Io son l'Occasione, a pochi nota; |
e la cagion che sempre mi travagli, |
è perch'io tengo un piè sopra una rota. |
Volar non è ch'al mio correr s'agguagli; |
e però l'ali a' piedi mi mantengo, |
acciò nel corso mio ciascuno abbagli. |
Li sparsi mia capei dinanti io tengo; |
con essi mi ricuopro il petto e 'l volto, |
perch'un non mi conosca quando io vengo. |
Drieto dal capo ogni capel m'è tolto, |
onde invan s'affatica un, se gli avviene |
ch'i' l'abbi trapassato, o s'i' mi volto. - |
- Dimmi: chi è colei che teco viene? - |
- È Penitenzia; e però nota e intendi: |
chi non sa prender me, costei ritiene. |
E tu, mentre parlando il tempo spendi, |
occupato da molti pensier vani, |
già non t'avvedi, lasso! e non comprendi |
com'io ti son fuggita tra le mani. |
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